È più facile fare franchising all’estero che in Italia. Non me ne vogliano i colleghi internazionali, siano invece parzialmente fieri quelli italiani di ciò che riescono a costruire, tra molte difficoltà, nel nostro paese.
Parlo per esperienza diretta di tutti quei mercati dove ho avuto l’opportunità di lavorare, partendo dal mercato principe, quello USA. Qui si apre un punto vendita in franchising con in testa un concetto basilare: if you believe with your mouth put your hands in the pockets, che possiamo tradurre con un “se ci credi, metti mano al tuo portafoglio”. Certo, in America l’expertise, il know-how e la conoscenza del mercato devono essere garantiti in primis dall’imprenditore. Sarà però il consulente franchisor accreditato all’IFA (l’Assofranchising americana, associazione leader nel mondo), che realmente li certifica definendo la validità e la bontà del progetto stesso, attraverso un disciplinare chiamato FDD franchising disclosure document che ha – tra gli obiettivi principali – quello di fornire documentazione utile per l’aspirante franchisee.
In USA ci sono scuole e università, banche e strumenti finanziari, fondi creati da master franchisor diventati poi multi unit ed infine promotori e partecipanti di fondi di venture capital, che rilevano intere aree e territori, ma anche punti vendita già affiliati ad altre catene. Gli Stati Uniti, inoltre, sono inarrivabili anche a livello di eventi di settore: il più seguito è sempre quello dell’IFA, ma ormai ci sono anche moltissimi eventi locali. Locali per modo di dire, viste le dimensioni del paese di cui stiamo parlando.
Infine, c’è anche un altro importante fenomeno da non sottovalutare, cioè l’Existing Franchise for Sale. Si tratta di un mercato specifico che mette in contatto chi vuole comprare un franchisee/license e chi, invece, vuole vendere il proprio franchisee/license .
Dopo gli Usa, vengono tutti quei paesi che storicamente seguono sempre le logiche e le dinamiche di quel mercato quando si tratta di franchising. Sicuramente l’Inghilterra, ma anche la Corea, il Giappone, il Vietnam, il Sudafrica, il Messico e parzialmente il Brasile.
Ovviamente ci sono anche importanti differenze tra questi paesi, talvolta davvero molto distanti tra di loro. Da quelli più esotici come l’inchino e i suoi significati intrinsechi, fino a questioni più burocratiche-amministrative, come gli asseveramenti locali dovuti a usi e culture differenti.
Il franchising in Europa, Asia e Medio Oriente
Arrivando in Europa, la Francia ha un suo codice ed una sua metodologia di lavoro, che ne fanno la nazione capofila per il franchising in Europa. Il segno evidente è la Fiera del Franchising di Parigi, che ritengo essere il migliore evento al mondo. Subito sotto è lotta aperta per il podio tra Italia, Spagna e UK.
La Spagna, in particolare, è un mercato molto interessante, soprattutto per noi italiani: l’importante è armarsi di santa pazienza. Ma non dimentichiamo i paesi dell’Est Europa, come la Polonia, paese emergente. Prima della guerra in Ucraina, questi paesi avevano come baricentro la Russia e fondamenta importanti, basate sulla metodologia americana. Di sicuro c’è chi ricorda ancora oggi la storica e complessa apertura di McDonald’s a Mosca, tutta rivisitata in cirillico.
Da non trascurare anche l’area del Golfo Persico, divisa tra Qatar, Emirati Arabi e Arabia Saudita: tutti paesi interessanti e diversi tra di loro, ma con una legislazione ancora acerba, che pone diverse questioni ai professionisti del franchising.
Arriviamo poi in India e alla sua impressionante fiera di Delhi. Lì il dinamismo e l’attività di questo settore sono davvero senza pari. Una delle maggiori società specializzate ha fatturato localmente cifre molto importanti che, se paragonate al consumo medio pro capite, rendono molto bene l’idea di quanto il mercato indiano del franchising sia vivo e prospero.
Ho cercato di offrire una veloce panoramica al mondo del franchising Internazionale e spero sia utile per un primo orientamento. Al di là dei paesi, però, non dobbiamo tralasciare tante associazioni, non ufficiali – cioè non appartenenti al World Franchise Council – ma che comunque sono rappresentative di tanti territori e aree, attraverso il proprio network di associati.
In questo quadro, gli italiani possono essere parzialmente soddisfatti, perché la bravura acquisita combattendo con una realtà difficile come quella nazionale, può tornare utile per lanciarsi alla conquista dei mercati esteri più interessanti. Ovviamente purché ci sia il supporto dei giusti partner finanziari.
All’estero c’è molto dinamismo, da noi molto meno. Un gap accentuato dal fatto che in Italia c’è poco interesse ad accedere alle agevolazioni per l’imprenditorialità, che pure ci sono. Mi riferisco, ad esempio, ai bandi ON e SELFIEmployement gestiti da Invitalia. Riscontro proprio uno scarso interesse da parte dei ragazzi e delle ragazze che potrebbero accedervi per aprire un nuovo punto vendita. Il che è un problema per tutti.
Attualmente sembra esserci una generalizzata mancanza d’interesse per rendere disponibili prima e accedere poi a queste agevolazioni. Che poi alla fine significa diventare imprenditori: il be your own boss mi pare non essere molto attraente qui da noi. Mentre invece in altri paesi lo spirito imprenditoriale è più forte che mai.