“Devi investire per crescere e posizionarti in un mercato competitivo. Questo significa che all’inizio puoi avere i bilanci in perdita, ma fa parte del piano industriale, devi guardare al lungo periodo”.
Sono le parole di Oliver Zon, founder di Kebhouze, inedita catena italiana del kebab, partita da Milano alla fine del 2021 e in queste ore molto chiacchierata. La motivazione ufficiale è che sono stati depositati gli ultimi bilanci della srl e il deciso segno meno nel conto economico ha scatenato una ridda di ipotesi sul futuro di un business sin dall’inizio sotto i riflettori. Il motivo di questa attenzione, senza nascondersi dietro a un dito, sta nella proprietà. Il socio di maggioranza, infatti, è Gianluca Vacchi, noto imprenditore e influencer, che rientra nel novero di quelle personalità internettiane che polarizzano il dibattito tra odio e amore.
Ma torniamo ai conti di Kebhouze, perché Oliver Zon – che abbiamo raggiunto al telefono – ci tiene a raccontare la sua verità, punto per punto: “Prima di tutto chiediamo rispetto per il nostro lavoro, per i nostri 149 dipendenti e per i nostri fornitori. Siamo un’azienda che ha aperto il primo ristorante a dicembre 2021 e che quindi ha avuto solo un anno di esercizio completo, il 2022. Proprio nel 2022 abbiamo fatturato più di 5 milioni di euro. Certo, abbiamo anche perso dei soldi, circa 1.3 milioni di euro, ma questo perché stiamo spingendo sulla crescita. Non ci interessa andare a pareggio. I nostri obiettivi sono aprire più punti vendita possibile e arrivare a un EBITDA positivo entro la fine del 2025”.
Qual è la mappa attuale dei ristoranti Kebhouze? Partirà anche una rete in franchising?
“Oggi abbiamo 24 locali di proprietà: 23 in Italia, principalmente in Lombardia, e uno a Ibiza. Entro il 2027 puntiamo a un totale di 125 punti vendita, tra ristoranti di proprietà e in franchising. Proprio lato franchising c’è grande attesa tra i possibili licenziatari. Riceviamo ogni giorno tante richieste (volendo si può scrivere qui: franchising@kebhouze.com), ma ci siamo presi tutto il tempo necessario per mettere a punto e standardizzare i processi. Ora siamo pronti. In autunno partiranno i primi ristoranti su licenza. Mentre a novembre abbiamo in programma l’apertura del nostro ristorante più grande. Sarà un Kebhouze di tre piani, a Londra, nella prestigiosa Oxford Street”.
Insomma la macchina aziendale è in pieno movimento.
“Siamo entusiasti di quanto fatto finora. Nella nostra breve storia abbiamo già affrontato la coda lunga del covid e lo scoppio della guerra tra Russia e Ucraina, con i conseguenti aumenti all’impazzata di tutti i prezzi delle materie prime. Abbiamo creato un team di 149 ragazzi e ragazze, in gran parte sono tra i 20 e i 30 anni, tutti regolarmente assunti. Abbiamo messo in piedi un giro economico nel settore tra ditte di esecuzione lavori, fornitori di materie prime e tanti altri. Tutte aziende italiane, compresa Kebhouze, che pagano regolarmente le tasse e versano i contributi in Italia. Gianluca Vacchi è semplicemente il principale investitore dell’azienda, su cui ha scommesso quasi 12 milioni di euro. A livello operativo siamo un gruppo di ragazzi italiani che hanno intravisto l’opportunità in un vuoto di mercato e proposto l’idea alla persona giusta”.
Come andrà l’avventura di Kebhouze lo potremo sapere solo tra qualche anno. Al momento meglio non lanciarsi in giudizi affrettati. Le startup – in qualsiasi settore – bruciano soldi. Sempre. L’importante è che la benzina finanziaria serva – velocemente – a costruire un futuro di profitto, o quantomeno di sostenibilità.